L’ambassador Pedro Cifuentes che conosciamo principalmente per le impese alpinistiche e i meravigliosi reportage dalla Patagonia, ci racconta l’altra metà della sua vita: la professione di vigile del fuoco nella sua città, Madrid. In questi ultimi mesi la capitale spagnola è stata profondamente segnata dalla pandemia, mettendola a dura prova. Nelle parole che seguono, Pedro ricostruisce i fatti e condivide con noi le sensazioni provate mentre prestava servizio in prima linea.
Appena poche settimane fa stavo tornando dalla mia terza spedizione dalla Patagonia. Nonostante avessi sentito parlare della diffusione del coronavirus, mai avrei potuto prevedere ciò che mi si presentò al rientro.
Dismessi i panni dell’alpinista, presto abitualmente servizio come vigile del fuoco a Madrid, città che in Spagna è diventata l’epicentro del contagio. Al mio ritorno ho assistito allo scenario più difficile con il quale mi sia misurato dopo gli attacchi terroristici. Da un solo edificio abbiamo estratto i corpi di 20 anziani deceduti. Situazioni di questo tipo scuotono la mente e il cuore.
Come pompiere sono abituato ad affrontare cose assai gravi ma questa volta tutto è diverso. Si combatte contro un nemico invisibile, un nemico che miete vittime con un tasso elevatissimo se lo compariamo agli attentati di Madrid. In genere le catastrofi naturali e non, danno vita a fenomeni che si esauriscono in un giorno, il Corona virus è diverso, perché ci costringe a restare in prima linea senza sosta. Abbassare la guardia significa rischiare di contagiare sé stessi e gli altri. Si tratta di circostanze senza precedenti, fortunatamente rare, ma che influenzano la vita di tutti.
La mia caserma conta 30 vigili del fuoco. Solitamente l’ambiente è gioviale. Ci si saluta, ci si stringe la mano, si scambia una battuta. Ora l’atmosfera è surreale e carica di tensione. Teniamo le distanze, l’altro rappresenta un pericolo.
“Per la paura non c’è tempo. Bisogna agire”.
Nessuno sa cosa succederà il minuto successivo, le prossime ore, i prossimi giorni. Nonostante la stanchezza e la sopraffazione, stiamo andando avanti spinti da una strana forza che ci pervade. Continuiamo a remare, anche se controcorrente. Arrendersi non è un'opzione.
Ancora una volta, questa situazione estrema mi fa capire quanto amo il mio lavoro. Lotto insieme ai colleghi, e nella mia mente gli ampi orizzonti della Patagonia si restringono seguendo il profilo dei tetti di questa Madrid sofferente. L’adrenalina e la paura si alternano a qualche fugace soddisfazione. La speranza è sempre viva, in attesa di qualche segnale di miglioramento. È come essere in montagna: a volte la vetta sembra vicina, altre così lontana.
Se dovessi dare un significato a questa assurda catastrofe, credo che la Terra ci abbia costretti a fermarci per permetterle di respirare. Si dice che tutte le battaglie portino frutto, anche quando ne usciamo sconfitti. Questa sfida ha messo alla prova il nostro coraggio, la nostra forza interiore, la nostra adattabilità, ma soprattutto il nostro senso di responsabilità. Perché oggi più che mai ogni azione conta.
Tutto ciò ci ha lasciato una gratitudine che ci spinge a ringraziare di essere vivi. Una riconoscenza che si sperimenta solo quando la salute è messa a repentaglio. Le cose che prima davamo per scontate hanno acquisito un nuovo valore. Iniziamo a godere dell’oggi, anziché rimandare a domani. La gratitudine mi porta ad aggrapparmi ai progetti per il futuro. Mi sembra già di assaporare il momento in cui potrò ancora una volta sentire il vento sulla faccia. Quando tutto sarà finito riprenderò il mio addestramento e mi preparerò per la spedizione del prossimo anno al Fitz Roy, prevista per il Gennaio 2021. Tornerò ancora una volta in Patagonia con lo stesso entusiasmo e sono certo che gusterò la vetta con maggiore intensità.